Proseguono gli interventi di riqualificazione e di decoro urbano a Squillace. L’amministrazione comunale, insieme alla realizzazione di importanti strutture istituzionali, edilizie e viarie, ha abbellito anche la parte superiore della piazza centrale dove convergono quotidianamente visitatori e turisti, richiamati sulla «incantata collina» dalla storia millenaria, dai molti monumenti superstiti e dall’artigianato artistico e tradizionale della ceramica.
L’attuale piazza del Risorgimento, nei secoli medievali, ospitava antichi e famosi edifici come quello del “Sedile”. Prima dell’Unità d’Italia, il “Sedile” o “Seggio” era il luogo della riunione degli organi ufficiali dell’Universitas Civium (Università o, dopo la Rivoluzione Francese, la Comune e, quindi, il Comune) e variava a seconda della disponibilità di spazio o delle epoche.
Il “Sedile” era quello che oggi è la sala consiliare o, in senso lato, l’attuale Municipio.
La popolazione era, infatti, organizzata in Universitas. Organi ufficiali dell’Università erano il Parlamento (l’assemblea popolare) e il Reggimento, formato dai sindaci (a Squillace erano tre: della nobiltà, del grado e del popolo) e un numero variabile di eletti (attuali consiglio comunale e giunta). Sindaci ed eletti esercitavano compiti di ordinaria amministrazione, duravano in carica un anno ed erano rieleggibili: l’elezione veniva fatta pubblicamente ogni anno il 1° agosto.
I sindaci si facevano interpreti dei bisogni dei cittadini e difendevano le loro ragioni davanti alle altre autorità. In questi ed in altri compiti erano coadiuvati dagli eletti. I sindaci avevano anche l’obbligo di rendere il conto della propria gestione (erano sottoposti, cioè, a sindacato).
A tal proposito, il Parlamento nominava i Razionali (oggi revisori dei conti), perché visionassero il conto in conformità alle regole regie.
Il raduno del popolo era detto Parlamento perché presupponeva, per l’appunto, il parlare delle questioni poste all’ordine del giorno. Al Parlamento intervenivano, oltre agli eletti, tutti i capifamiglia con esclusione delle donne e dei figli. I cittadini erano convocati dal Baglivo (in Italia, dal Medioevo all’epoca pre-unitaria, rappresentava il potere del Re e svolgeva le funzioni di luogotenente) o dal Governatore (rappresentante del feudatario), il quale, tramite i rispettivi “officiali”, accompagnati dal banditore (‘u vanderi), faceva il giro del paese dando l’annuncio ad alta voce, o “ad sonum campanae” e con squilli di un’apposita tromba, in modo che potesse essere udito e compreso da tutti gli abitanti dei diversi rioni.
I convenuti votavano anch’essi ad alta voce in “eorum vulgari sermone” (cioè anche in dialetto). Alla riunione del Parlamento presenziava il capitano (attuale maresciallo): il relativo verbale, contenente i nomi degli intervenuti, le proposte formulate e le decisioni prese, era redatto da un notaio che, per l’occasione, assumeva le funzioni di mastrogiurato o di cancelliere dell’Università (l’attuale segretario comunale).
Quando si trattavano argomenti importanti, come guerra, calamità naturali, pestilenze e tasse, interveniva lo stesso Principe (feudatario) o il suo vice (il governatore), i quali, comunque, vi si recavano all’atto del loro insediamento, dopo l’omaggio in cattedrale al patrono Sant’Agazio e al vescovo.
In quella occasione, proprio nel “Sedile”, concedevano la grazia a vari condannati, liberandoli anche dal carcere. Nel “Sedile”, infatti, veniva anche amministrata la giustizia dai giudici regi (attuale pretura o giudice di pace). I documenti d’archivio, soprattutto lo schizzo che riporta la pianta di Squillace del 1584, collocano il “Sedile” proprio nell’attuale piazza Risorgimento (probabilmente tutto il palazzo dell’attuale farmacia e della famiglia Chillà e la piazzetta davanti alla “Casa delle Culture”), con un ampio porticato, davanti al quale il 3 febbraio 1799 fu collocato l’Albero della Libertà della Repubblica di Squillace.
I lavori di recupero della Piazza cominciarono circa 60 anni fa per l’impegno di uno zelante e operoso vescovo di Squillace, mons. Armando Fares, che insieme alle amministrazioni del tempo (Pregoni, Mantella e Taverniti) volle e dispose, per comodo dei cittadini, l’acquisto e la demolizione di alcune casupole fatiscenti, addossate all’episcopio e che restringevano di molto il transito e il passeggio nella centralissima piazza. Restava ormai l’eliminazione e la conseguente utilizzazione di un inadeguato e contorto manufatto, usato fino a qualche anno addietro come centrale telefonica della Telecom, che l’amministrazione Rhodio ha espropriato e destinato a luogo di sosta e di incontro, protetto dal sole estivo e dalle intemperie invernali, per persone soprattutto anziane e per giochi tranquilli di bambini.
Un intelligente progetto curato dall’ufficio tecnico comunale, con la consulenza dell’architetto Mauro Francini, ha consentito di realizzare uno spazio coperto ma accessibile dalla piazza, che già è diventato rifugio per persone di età diversa, che possono socializzare e conversare serenamente col sole o con la pioggia.
Insieme a panchine in ferro battuto, comode e ornamentali, il locale con un tetto di travi e legname, espone dei pezzi marmorei della storia squillacese, riusando frammenti di lapidi e colonne provenienti dall’antica cattedrale normanna, crollata il 28 marzo 1783, e che rievocano due importanti personaggi della storia e dello Stato principesco di Squillace.
Anzitutto due lapidi che recano scolpito, una l’antichissimo stemma della famiglia Pepe e l’altra un’iscrizione che, che nella ricostruzione del monumento funerario della prestigiosa famiglia Pepe in cattedrale, rievoca la figura di Gregorio Pepe, padre dei famosi generali Guglielmo e Florestano e che così recita: “Gregorius Pepe – Patritius Messanensis, ex antiquis Petritii Dominis – Sibi suisque…”.
Il padre dei due patrioti squillacesi, don Gregorio, era, infatti, non solo tra i fondatori e capi della Carboneria massonica calabrese, ma era anche esponente di spicco della nobiltà terriera e produttiva dell’epoca (era tra i produttori e commercianti delle sete, non solo a Squillace), che con molta oculatezza sosteneva finanziariamente le imprese patriottiche e rivoluzionarie di molti suoi figli e di altri gruppi risorgimentali.
Il terzo frammento di lapide rievoca la figura dello spagnolo D. Giuseppe De Ribera Y Villavincenzio, parente di Pedro Afan de Ribera, viceré di Napoli, e di San Giuseppe de Ribera, che fu governatore e vice-principe dello Stato di Squillace, nonché barone di Stalettì, un personaggio controverso e negli ultimi anni assai dispotico, tanto da venire in conflitto con lo stesso vescovo della città, mons. Fortunato Durante, che nel 1705 lo scomunicò per una lite assai faziosa e movimentata, aperta per il possesso della “Fiera di Sant’Agazio”, durante la quale si causarono molti conflitti e scorrerie armate che provocarono seri problemi anche all’ordine pubblico.
L’iscrizione lapidea, in marmo verde di Gimigliano, si riferisce ai primi anni di governo a Squillace del Ribera, e dimostra che all’epoca il governatore spagnolo si dedicava ad opere di beneficenza e di ossequio religioso.
La lastra di marmo verde incorniciata, rinvenuta durante i lavori di sterro per il completamento della crociera della cattedrale (settembre 1991), contiene la seguente dicitura: “D. Ioseph Riviera – Gubernat. Squillac. – sua devotio – 1690”- Completerà l’intervento di risanamento, nella piazza centrale, l’abbellimento di alcune pareti esterne dei fabbricati circostanti, che sarà effettuato a breve con pannelli e piastrelle ceramiche, decorate dagli artigiani squillacesi e da allievi del locale liceo artistico, riproducenti la pianta monumentale del centro storico e alcuni soggetti religiosi legati alla tradizione ecclesiale di Squillace.
Salvatore Taverniti (da Gazzetta del Sud)