Il viaggio poetico della poetessa Luana Fabiano
ci svela
Respiri violati
A poco più di un anno dalla pubblicazione della sua opera prima, “I covoni della speranza” (Lepisma Edizioni – Roma) con prefazione di Dante Maffia, risultata finalista al Premio Internazionale di Poesia, Prosa e Arti Figurative “ Il Convivio 2013”, ottenendo anche il diploma di merito al Premio Nazionale di Poesia “Alberoandronico 2013” (Campidoglio Roma), la poetessa Luana Fabiano torna a sorprenderci con i versi della raccolta “ Respiri violati ” che si inserisce nel catalogo di Collezione Letteraria di Puntoacapo Editrice (AL).
La prefazione alla silloge è di Antonio Spagnuolo, poeta, scrittore e saggista di notevole spessore, molto noto nei circuiti letterari nazionali.
Scrive così il prefatore: “ Per comprendere a pieno i segreti di questa raccolta, immersa faticosamente nel non senso e nelle impossibili tracce dell’inconscio, bisogna conoscere qualche passo del pensiero creativo della poetessa.
In questa silloge – ella suggerisce – ha cercato di dare respiro a tutta quell’umanità dimenticata, nel caso dei manicomi, ad esempio, o all’umanità abusata dei bambini, tanti cappuccetti rossi (Quanti cappuccetti rossi inciampano nella menzogna del lupo che non sanguina nel bosco fiabesco ma tra pareti e pavimenti felpati…) «scoperti» da lupi «domestici », alla bellezza dilapidata delle donne (…le violente eruzioni su lune in plissé, …la vagina terra mitragliata da stivali di guerra, le labbra mozziconi che l’asfalto consola dall’urto) che hanno labbra consumate, ridotte in mozziconi che il duro asfalto, stranamente, sa accogliere da un urto ancora più violento, quello della forza di un uomo che descrive nella lirica La corsa del cannibale (il fetore segue la corsa del cannibale di respiri, si risolleva il dolente gambo dalla terra sventrata).
La donna è il dolente gambo che si risolleva dal corpo squarciato ma, ancora peggio, con l’anima stuprata. Qui la lingua compositiva rappresenta un ritmo controllato e visionario insieme, il cui dettato accoglie e rielabora certe vibrazioni territoriali, paesaggistiche, illusorie, pittoriche e smaterializzate, per affilare rapporti sinestetici di relazioni semantiche, strutturate in modo da disegnare quasi sempre quella che potremmo chiamare “in definizione”, che non costella mai alcunché di compiuto, ma che riesce nel contempo a cristallizzare evocazioni o implicazioni filosofiche. […]
Di fronte a una scrittura così impegnata, istintiva, esorbitante, spontanea e forse anche sofferta, e a volte difficoltosa per il lettore, sembra scorgere una precaria condizione umana, sociale, politica, psicologica, che cerca di fare i conti con la “fine delle cose”, con quelle scaglie lapidee che segnalano come risorsa da non sprecare la coesistenza funzionale delle “dimensioni della vita”.
Allora non ci resta che condividere la bellezza e l’emozione di un respiro finalmente libero, quello che l’autrice vuole restituire alla dignità di sentimenti, condizioni e valori di ogni tempo, a quella dignità sottratta dall’offesa.