Dopo essere stato in quasi tutti i santuari della diocesi, nella prima domenica dopo Pasqua l’arcivescovo metropolita mons. Vincenzo Bertolone ha celebrato la messa nella basilica cattedrale di Squillace, altra componente dell’arcidiocesi.
Una celebrazione trasmessa in streaming sui social per via delle disposizioni sull’emergenza sanitaria in atto. Nell’omelia, il presule ha fatto alcune importanti riflessioni, anche riferendosi al momento emergenziale in atto. «Il virus – ha affermato – è nell’aria, quasi imprendibile, e noi per difenderci abbiamo individuato come unico antidoto la distanziazione sociale.
Che ha chiuso in casa piccoli e grandi, ha chiuso i cimiteri e le chiese, costringendoci a pregare di fronte ad un video, ad un tablet.
Spero che le nuove disposizioni della “fase 2” consentano di riprendere la celebrazione eucaristica». «L’emergenza – ha aggiunto – ci ha costretti a capire cosa vuol dire morire da soli.
Qui a Squillace, grazie a Dio, non abbiamo avuto nessun caso; ma morire soli, senza neppure una carezza, senza l’unzione degli infermi, fa tanta tristezza. Poveri defunti, e in qualcuno dei nostri paesi sono stati visti in un sacco della spazzatura.
Se ne sono andati soprattutto quelli che con il proprio sudore hanno ricostruito la nostra nazione, lasciando quel benessere di cui abbiamo spesso approfittato e che non sempre è stato amministrato saggiamente». Poi mons. Bertolone ha fatto una testimonianza. «Sto lavorando – ha sottolineato – alla posizione di Rosario Livatino, per il processo di beatificazione.
In una Canicattì secolarizzata, con tanti rami della mafia, i cosiddetti “stiddari”, si erge la caratura morale di questo giovane integerrimo, perché poggia la sua azione nella fede. La legge costituzionale in una mano e nell’altra il suo rapporto con Dio. Come Livatino, dobbiamo essere testimoni nel luogo in cui viviamo, con coraggio». Infine, una esortazione.
«Questi giorni di isolamento e di silenzio – ha concluso mons. Bertolone – possono essere un’occasione meravigliosa per ringraziare il Signore per il dono della fede, il dono di vivere in un Paese che ha goduto di tanto benessere e che deve adesso diventare solidale, che si prenda cura un po’ meglio dei più poveri, che si deve rappacificare e guardare insieme tutti quanti in avanti e verso il futuro».
Salvatore Taverniti