“Nella sua vita sociale, Guido Mantella aveva due grandi amori: Squillace e la Democrazia Cristiana. Ne aveva anche un terzo, per Carmelo Puija, finito, come i grandi amori, tra sofferenze parimenti grandi – esordisce Cimino nel suo ricordo -.
Su questi robusti filoni scorre la vita pubblica di quella figura esile, piccola di statura, ma forte di temperamento, acuta per intelligenza, lucida per capacità di comprensione delle mutevoli situazioni. Vita pubblica, la sua, che quasi interamente ha coperto tutta la sua vita, avendo egli dedicato le più grandi energie alla sua passione più grande, la politica, profondamente intesa. La famiglia, certo, al centro. Le sue tre figlie e la moglie fermamente dentro il suo cuore, tenute, però, contrariamente ad altri esponenti politici, sempre fuori dalle luminose ribalte. A vivere la vita semplice di una famiglia normale. Ma la politica lo prendeva tutto. Lo avvolgeva come un mantello.
Lo invadeva sin dalla prima giovinezza, vissuta accanto alla sua prima figura educante, quel don Peppino Rhodio, avvocato, padre di Guido, che poi di Mantella divenne insieme allievo e amico insuperabile. E dalla cui guida si è fatto accompagnare nei primi percorsi verso il successo politico, assumendo la sua stessa malattia: Squillace e la Dc.
“Per Guido la città di Cassiodoro era una sorta di Patria, come Itaca” “Per Guido Mantella, la città di Cassiodoro era una sorta di Patria, una speciale Itaca alla quale sempre ritornare in quel suo frenetico andirivieni, che lo portava in mille posti diversi nella stessa giornata. Squillace rappresentava l’idea di una Calabria vera, culla dei suoi tesori più preziosi, scrigno di civiltà dedite al progresso, tempio di religiosità laica nella quale la ragione e la storia segnavano il tracciato di un popolo ambizioso – scrive ancora Cimino -.
Squillace, crocevia di civiltà diverse e unitariamente progressive, la Magna Grecia e le altre che vi depositarono le proprie speranze e la propria cultura. Da Squillace egli prese quel senso di sé, quell’orgoglio identitario comune a molti squillacesi, che in lui un poco strideva dentro lo spirito cristiano e d’umiltà protesi al bene più vasto, extra-territoriale, stigmatizzato dalla solidarietà cristiana e dalla generosità umana.
Le caratteristiche peculiari, queste, che lo fecero da sempre, e per sempre democristiano. Da sempre, e non per convenienza, dunque. Da sempre, per militanza e spirito di servizio al partito di cui divenne, quale sua più grande aspirazione giovanile, segretario provinciale. Da sempre ,profondendo in ogni suo mandato sociale gli ideali più aderenti al senso di giustizia e delle istituzione che lo pervadevano. Per sempre, respingendo, dopo la scomparsa dei partiti tradizionali conseguente alla drammatica stagione dei primi anni ’90, ogni tentazione di trasformismo e di opportunistico adeguamento al novismo imperante, da tangentopoli in poi.
Non si fece, pur richiestissimo, forzitalianista, pidiessino, annino o altro. Rimase democristiano – sostiene l’esponente dell’Udc -, triste e nostalgico nel vedere sempre più decadere il vecchio concetto di politica e l’antica idea del partito. E l’essenza vera della democrazia italiana, quella frutto dell’idealità e delle battaglie degasperiane delle quali rimase convinto assertore in ogni sua battaglia all’interno della Democrazia Cristiana e nel più ampio campo della politica”. “Mantella, per sempre democristiano” “Per sempre democristiano”, rimarca ancora Cimino. “Anche nel suo ultimo buon ritiro di Soverato, l’unica città che concepiva non come sostitutiva, ma complementare a Squillace.
E per il solo fatto di restare accanto alle figlie, che ivi avevano posto dimora. Catanzaro, sua residenza ufficiale in via Nasi, no.
Non era la sua prescelta, la rispettava come tutte le cose e realtà; la sosteneva come capoluogo di Regione ma non l’amava – sostiene Cimino -. Troppo elitaria, troppo burocratica per i suoi gusti. Squillace, sì, sempre. Squillace, che egli ha voluto servire nei suoi sei mandati di Sindaco. Specialmente, nell’ultimo speso nella stagione finale della sua vita, nel corso della quale, libero da ogni altro impegno amministrativo (fu più volte presidente del vecchio Coreco), o politico (fu più volte parlamentare), o istituzionale, (fu due volte consigliere e assessore provinciale), ha potuto realizzare grandi idee. Una fra tutte: la valorizzazione del mare, attraverso un piano di espansione edilizia e di attrezzamento della vasta area prospiciente.
Di quell’idea, forse, gli era sfuggita, non per sua colpa, qualcosa di mano, ma il lungomare e le aree attrezzate, gli stabilimenti balneari e primi insediamenti di tipo turistico-alberghiero, sono frutto del suo progetto della nuova Squillace. Per amore della sua città rimase un “provinciale” geniale che avrebbe potuto coltivare ambizioni romane più grandi. Ma proprio Roma lo “spaventava” e proprio Roma lo riportava nella sua dimensione magnogrecaromanabizantina, nella quale, respingendo altezzosità e piccole avidità di potere, si trovava a proprio agio. Nonostante un caratterino non certo malleabile, manteneva con la gente, e specialmente con gli squillacesi, rapporti cordiali, affettuosi, amicali di paritaria comunanza cittadina e regionale. Ma Roma era anche l’appuntamento che si era dato l’unica persona, insieme ad Ernesto Pucci, a cui riconosceva una leadership indiscutibile: Carmelo Puja. Posso dire, saltando quei passaggi intrinsecamente umani e psicologici che non conosco, che a lui, Guido, rivolse amicizia e stima sincera. E fedeltà politica.
Richiamo questo aspetto, perché sento che ai due farà piacere che sia ricordato questo loro legame speciale, che fu molto importante per la Democrazia Cristiana e la provincia di Catanzaro. La penna – conclude Franco Cimino il suo ricordo di Mantella – come sempre scorre veloce sui fogli e potrei lasciarla andare per ore. Ma la necessità di trasferire su questo giornale il mio pensiero mi induce a fermarla, e con fastidio. Ho il dovere, dunque, di chiudere la narrazione. E come potrei, se non dicendo, infine, che Guido Mantella è stato un uomo di grande valore, che si è fatto da solo, con una fatica immane applicata ad una intelligenza non comune? Il resto l’ha fatto la sua passione politica e il suo amore. Per la Democrazia Cristiana. E per Squillace, che si è portato anche nell’altro mondo. Come una stimmate. Come un simbolo. Come la parte più profonda del suo cuore nobile e generoso”.
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