Il 12 maggio 2013 furono canonizzati da papa Francesco coloro che sono passati alla storia come i “martiri di Otranto”, i quali si rifiutarono di rinnegare la propria fede durante l’assedio della città salentina da parte dei turchi nell’estate del 1480. Si tratta di circa ottocento persone che, dinanzi al massacro perpetrato sotto il comando di Pascià Achmet, si rifiutarono di abiurare e furono decapitati senza pietà.
Sembra che la strage fosse stata predetta da Francesco di Paola, il quale scrisse una lettera al re di Napoli al fine di salvare la città, ma le sue preghiere non furono ascoltate. Il processo di riconquista della città da parte degli aragonesi vide come protagonisti molti soldati calabresi, tra cui un frate francescano, nativo di Montepaone nei pressi di Squillace.
Fra’ Serafino, rinomato per la dottrina e la predicazione, diventò Arcivescovo di Otranto proprio in quell’anno difficile e subito si prodigò per la difesa della fede e per la ricostruzione della cattedrale, distrutta dagli ottomani.
Mantenne la cattedra vescovile fino al 1514, anno della sua morte, e la sua meritoria azione pastorale fu ricordata dalla comunità otrantina con l’erezione di un sarcofago marmoreo nella cattedrale, opera dello scultore Niccolò Ferrando.
Il monumento si sviluppa su più livelli: la parte inferiore si caratterizza per un basamento liscio tripartito mediante semipilastri, ciascuno terminante con un leone accovacciato; nel livello mediano trova posto il sarcofago, recante l’effigie del defunto disposta orizzontalmente; il livello superiore vede invece sistemata verticalmente la figura dell’Arcivescovo all’interno di una nicchia, ai cui lati sono collocate paraste decorate con motivi vegetali. Un timpano semicircolare, al cui centro è posizionato un sole monogrammato (IHS), conclude l’opera. Ad attirare l’attenzione e la curiosità degli studiosi negli ultimi anni, è stata l’epigrafe iscritta nella lastra con “gisant”, dove appunto il frate è raffigurato sdraiato. L’iscrizione sepolcrale così recita: “DECIPIMUR VOTIS TEMPORE FALLIMUR MORS DERIDET CURAS ANXIA VITA NIHIL” (siamo ingannati dai desideri e siamo traditi dal tempo, la morte deride gli affanni e nulla è l’ansia della vita). Nel corso di una sua visita ad Otranto il professor Alessandro Vezzosi, critico d’arte e direttore del “Museo Ideale Leonardo da Vinci”, nota come le stesse parole fossero contenute sul retro del manoscritto L, che costituisce uno dei taccuini su cui Leonardo prendeva appunti.
Da qui una serie di supposizioni che hanno ipotizzato una possibile presenza di Leonardo ad Otranto, probabilmente interpellato allo scopo di occuparsi della fortificazione della città.
Si tratta di una semplice coincidenza, visto che epigrafi simili erano al tempo di Leonardo molto comuni, o si tratta effettivamente di un indizio che dimostra la permanenza del genio del rinascimento nella città salentina? Gli studi e gli approfondimenti sapranno di certo darci una risposta nel prossimo futuro.