Lo studioso e sacerdote calabrese don Giuseppe Scigliano ripercorre la vita e le opere del grande intellettuale vissuto tra il 490 e il 580 alla luce della chiusura dell’inchiesta di beatificazione
Da più di 25 anni è prete per l’arcidiocesi di Rossano- Cariati, nel cuore della Calabria, don Giuseppe Scigliano, classe 1970 e ha sempre intravisto in Cassiodoro un modello per la nuova evangelizzazione e l’incontro tra le culture.
Dalla città di Corigliano-Rossano (è la nuova denominazione del comune) dove ora guida una parrocchia dedicata a San Paolo definita da lui di «frontiera» don Giuseppe come tanti calabresi che conoscono la storia di «questo grande laico cristiano e politico» ha gioito per la conclusione domani (23 luglio) a Squillace della chiusura dell’inchiesta locale per la beatificazione di Flavio Aurelio Magno Cassiodoro, vissuto tra il 490 e il 580.
A questo grande intellettuale che fu capace di portare quasi “innestare” in Calabria la cultura patristica e non solo don Scigliano ha dedicato parte dei suoi studi da giovane seminarista «al San Pio X di Catanzaro» e ora sta concludendo all’Istituto patristico Augustinianum di Roma la sua tesi di dottorato.
«Devo all’allora arcivescovo di Rossano -Cariati e ora alla guida della arcidiocesi di Bari-Bitonto Giuseppe Satriano – è la confidenza – se ora ho potuto concludere i miei studi di dottorato su Cassiodoro. La mia tesi verte su un tema chiave della sua opera il “Commento ai salmi”, di 150, da un punto di vista ecclesiologico storico, spirituale e letterale. Grazie a questa ricerca ho compreso il suo tempo di un uomo che visse in Calabria e a Ravenna in un periodo molto turbolento, dominato dal re ostrogoto Teodorico».
E aggiunge un particolare: «Ho scelto di approfondire questa sua opera perché rappresenta, in un certo senso, quasi lo zenit della sua vita: da questo scritto egli si scopre come un autore autenticamente cristiano. Un uomo che si fa annunciatore del Vangelo dentro una vita della Chiesa quella di allora in piena divisione e tempesta…Egli si sente, in ogni sua azione, prima di tutto un cristiano».
E annota: «Non dimentichiamo che pur avendo fondato dei monasteri egli rimarrà per sempre un laico e un uomo che da politico si dedicherà solo al bene comune della sua terra: la Calabria. Come mi diceva un mio professore pur potendo vivere come uomo di corte a Ravenna o a Costantinopoli è sempre voluto tornare qui nella sua terra che è Squillace».
Un personaggio che comunque rimarrà intimamente legato alla Sede Apostolica. «Condividerà dei momenti difficili in esilio a Costantinopoli con il Pontefice Vigilio – rivela – ed ebbe ancor prima una particolare collaborazione con papa Agapito (Papa Agapito governò la Chiesa prima di Papa Vigilio). Tra i suoi principi chiave vi è infatti l’importanza dell’identità del cristiano come si evince dal suo scritto il “De Anima”. Egli è un uomo innamorato del pensiero di sant’Agostino di Ippona di cui si sente un umile discepolo proprio mentre redige il suo Commento ai salmi».
Don Giuseppe dal suo osservatorio plaude soprattutto alla conclusione di questo iter per la beatificazione del servo di Dio. «Ho ammirato il coraggio dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace Vincenzo Bertolone che a quasi 1500 anni dalla scomparsa di Cassiodoro ha voluto portare avanti questa iniziativa. Non esistono reliquie ma a Squillace e nei dintorni le sue opere, la sua azione, i suoi gesti di santità che ci sono stati tramandati rappresentano ancora oggi un “patrimonio vivo” tra la gente.
Cassiodoro è avvertito, in un certo senso, come “il santo della porta accanto” come indica l’esortazione apostolica di papa Franceso “Gaudete et exsultate”». Quale dunque la sua maggiore eredità? «Sono stati i suoi insegnamenti lasciati ai monaci di Squillace come la nascita di queste fondazioni monastiche che hanno custodito tanti manoscritti che sono diventati, nel tempo, un ponte, quasi una cerniera, tra la cultura classica e quella cristiana».
Filippo Rizzi giovedì 22 luglio 2021, Avvenire.it