Da Bellocco a Vallelunga, a Pulice, Raso, Prezio, Bonaventura, Cuzzola, Molinetti, Giordano e Fiume. Nomi noti di pentiti e di killer. I diretti protagonisti della ‘ndrangheta con cui Klaus Davi ha parlato, superando l’indagine, ma studiando il fenomeno, per raccontarlo con un linguaggio diverso ed eventualmente per fare emergere le sue debolezze.
Il noto massmediologo, giornalista e scrittore, già consigliere comunale a San Luca (RC), è stato ospite al castello di Squillace per la presentazione del suo ultimo libro “I killer della ‘ndrangheta”, nell’ambito della seconda rassegna letteraria “Alla corte dei Borgia”. Sono criminali che si raccontano e Davi entra nella loro mente, riconducendo le loro azioni su un piano umano, che è poi un modo per svelare il meccanismo imponente che della ‘ndrangheta ha fatto un impero mondiale e per sperimentare una via d’uscita all’ineluttabilità del male.
Klaus Davi, intervistato dai giornalisti Carmela Commodaro e Domenico Marcella, ha raccontato di quando venne per la prima volta in Calabria da inviato. «Dopo gli inevitabili iniziali pregiudizi – ha affermato – mi sono innamorato delle persone e dei luoghi di questa regione. Ma non ho mai capito perché, di fronte a tanta bellezza, la Calabria sia diventata l’ultima regione d’Europa: c’è qualcosa che non quadra. È una terra aperta, dove storicamente tutti i popoli sono stati accolti, qui c’è la vera accoglienza. E, quindi, ho voluto conoscere il lato dark».
Per scrivere il suo libro, Davi è entrato nelle famiglie ‘ndranghetiste ed ha aperto gli occhi sui tanti mali di questa terra, «che non sono dovuti tanto al popolo – ha rimarcato – ma a chi gestisce queste comunità». Per il massmediologo, «l’affiliato alla ‘ndrangheta ha una patologia tribale. La ‘ndrangheta non è solo una organizzazione criminale, ma supplisce a tutta una serie di esigenze, è presente sul territorio. Nella ‘ndrangheta chiunque può diventare un killer. Noi giornalisti per loro siamo sbirri, ma almeno io non faccio l’informatore delle forze dell’ordine».
Alla domanda sulla possibile fragilità degli ‘ndraghetisti, Davi ha risposto che ne hanno tante. «Essi vivono – ha aggiunto – con l’ansia da prestazione, ma li tengono insieme i soldi, la droga e l’incapacità dello Stato di creare una cultura alternativa». «Lo Stato – ha sottolineato – fa bene la repressione, ma la Calabria ha bisogno anche d’altro: occorre investire in questa regione, creare momenti di aggregazione, fare qualcosa per tenere qui i ragazzi e non farli emigrare. I calabresi altrove sono i migliori, perché non nella loro terra? Fuori si fanno sempre valere». Per concludere con una differenza sostanziale tra la sua Milano e il Sud. «Il Nord – secondo Klaus Davi – ingrassa la ‘ndrangheta con il consumo della droga; i calabresi, invece, la subiscono».
Salvatore Taverniti (Gazzetta del Sud, 25 agosto 2021)