Ne “La Radice” (n° 1/2019, p. 49), discutendo del sostantivo latino mulier (it. “donna”, “sposa”: cfr. F. Calonghi, Dizionario latino-italiano, Torino 197512, s.h.v.), il prof. Enrico Armogida ha fatto menzione dell’etimologia proposta da Richard Broxton Onians (Le origini del pensiero europeo, trad. it. di Paolo Zaninoni, Milano 20112 , p. 199, nota 1), stando al quale il citato sostantivo è da connettersi con le voci latine molere (= it. “macinare”) e mola (= it. “macina” o “mulino”), ma pure con la forma umbra kumultu (lat. commolito, imp. fut. di commolere = it. “macinare”) ed il greco μύλη (lat. mola). Sempre a parere dell’Onians, inoltre, il termine mulier veniva adoperato nell’ambito familiare primitivo per indicare la donna che macinava il grano e faceva il pane, suoi compiti, questi – rileva il filologo inglese –, attestati nell’antichità. Ce ne danno conferma – egli puntualizza – sia Omero quando scrive che delle πεντήκοντα […] γυναῖκες che servono Alcinoo nel suo palazzo alcune ἀλετρεύουσι μύλῃς ἔπι μήλοπα καρπόν (Od. VII, 103-104), sia Plauto, Merc. 396 (nil opust nobis ancilla nisi quae texat, quae molat), sia, in aggiunta, Plinio il Vecchio, Nat. Hist. XVIII, 107 (ipsi panem faciebant Quirites, mulierumque id opus maxime erat).
Da molto tempo mi è noto quanto scritto dall’Onians circa il lemma mulier, ancor prima che il suo libro poco fa ricordato vedesse la luce in lingua italiana. Tuttavia ho sempre nutrito dubbi sulle sue considerazioni.
Tanto per cominciare, che nel mondo antico, volendomi attenere – preciso – alle fonti da lui utilizzate, le donne fossero addette a macinare il grano e produrre il pane non fa necessariamente credere che mulier significasse “mugnaia”. Queste funzioni costituivano solo alcune delle loro attività domestiche, tra cui, ad es., tessere e filar la lana, tagliare la legna, pulire con la scopa le case in cui vivevano e provvedere ogni giorno alla cottura del cibo (cfr. Hom., Od. VII, 105: [γυναῖκες] ἱστοὺς ὑφόωσι καὶ ἠλάκατα στρωφῶσιν; Plaut., Merc. 396-398: nil opust nobis ancilla nisi quae texat, quae molat, / lignum caedat […], aedis verrat […], / […] habeat cottidianum familiae coctum cibum).
Circa, poi, la “relazione” di mulier con μύλη, mola, molere ecc., l’Onians non ha tenuto conto (o non ha voluto tener conto) di alcune cose, innanzitutto che un verbo derivato da μύλη, ossia μύλλω (cfr. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, III, Paris 1974, s.v. μύλη; A
Greek-English Lexicon compiled by H.G. Liddell and R. Scott, revised and augmented throughout by H. Stuart Jones with the assistance of R. McKenzie, Oxford 1996, s.h.v.), ha il valore semantico di “congiungersi carnalmente premendo con forza” (“de l’image de la meule qui écrase”: P. Chantraine, cit.) e trova in latino il suo corrispondente nel verbo molere, inteso nel senso di possedere non solo una donna (cfr. Pompon. apud Non. 477, 4; Aus., Epigr. 79, 7; in Hor., Serm. I, 2, 35 c’è l’uso di permolere), ma – lo attesta Petronio (23, 5) – anche un uomo (cfr. P. Chantraine, cit.; H.G. Liddell and R. Scott, cit.; J.N. Adams, The latin sexual vocabulary, London 1982, pp. 152-153; H. Wiese, Zur Etymologie von lat. mulier ‘Frau’, in Int’l Journal of Diachronic Linguistics and Linguistic Reconstruction 4, 2 [2007], pp. 175-176; R. Garnier, Sur l’étymologie du latin ‘virgo’, in Studia Etymologica Cracoviensia 19, 2 [2014], p. 610 e nota 10).
Da μύλλω – leggo sia nel Dictionnaire étymologique de la langue grecque di Pierre Chantraine (cit.), sia nel Greek-English Lexicon di Henry George Liddell e Robert Scott (cit.) – deriva la voce μυλλάς (it. “prostituta”), che, come è stato fatto notare, avrebbe dato origine al termine mulier (cfr.
Ae. Forcellini – Io. Furlanetto – V. De Vit, Totius Latinitatis Lexicon, IV, Prati 1868, s.h.v.).
A questo punto l’argomento diviene ancor più interessante, ma, prima di continuare a trattarlo, debbo puntualizzare che sembra ci sia anche un nesso tra mulier ed alcuni termini micenei. Mi spiego meglio. A giudizio di Pierre Chantraine (cit.), per quanto concerne il greco μύλη, di cui mulier
contiene il medesimo semantema, si ha “trace d’un radical *mel- dans mycénien mereuro «farine» et meretirija «femmes qui tournent la meule»” (l’accettazione della parentela di μύλη con la radice *mel- andrebbe inserita in un inquadramento generale dei fenomeni fonetici relativi alla legge di Cowgill). Dello stesso avviso sono altri studiosi, i quali hanno interpretato il vocabolo meretirija come un ipotetico μελέτριαι (= “macinatrici del grano”), equivalente al latino mulieres (cfr. C.J.
Ruijgh [ed.], Tabellae Mycenenses Selectae, Leiden 1962, p. 12; B. A. Olsen, Women in Mycenaean Greece: the Linear B Tablets from Pylos and Knossos, London-New York 20172 , p. 89: “The primary food-production workers at Pylos seem to be the me-re-ti-ri-ja (meletriai), reconstructed as *μελέτριαι (‘flour-grinders’)”; J. Fischer, Food in Mycenaean Greece, Krakόv 2017, p. 22).
Pur non escludendo che mulier al pari di μύλη abbia la stessa radice di meretirija, mi chiedo se il primo di questi tre lemmi sia stato davvero creato col preciso scopo di far riferimento alla donna che macina il grano. Qualora così non fosse, a che cosa sarebbe servito inizialmente il suo impiego? In merito a ciò mi pongo un’ulteriore domanda: potremmo reputar valide le osservazioni contenute nel Totius Latinitatis Lexicon di Forcellini, Furlanetto e De Vit (cit.), ribadite, che io ne sappia, da Edgar Sturtevant (A Prehistoric Mediterranean Stem in Greek and Latin, in Transactions and Proceedings of the American Philological Association 1919, p. XIV), Aldo Prosdocimi (Studi sul latino arcaico, in Studi etruschi 47 [1979], pp. 210-211), Henrik Wiese (cit., pp. 160-161, 170-175, 179-183) e Andreas Opfermann (Griechische, Armenische und Albanische ‘Frauen’ und die Wurzel *guen-, in Studien zur historisch-vergleichenden Sprachwissenschaft. Herausgegeben von H. Bichlmeier und V. Sadovski, Band 9, Hamburg 2017, p. 56), in base alle quali mulier avrebbe avuto origine – ripeto – dal greco μυλλάς, termine, quest’ultimo, derivato, a sua volta – ripeto anche ciò – da μύλλω e da intendersi come prostituta? Tale significato comprenderebbe, ovviamente, la metafora della donna che ‘macina’ l’uomo mentre fa sesso.
Sotto il profilo linguistico, l’etimologia di mulier basata sulla sua derivazione da μυλλάς dovrebbe essere – precisa il Wiese (cit., p. 160) – “unproblematisch”.
Questa voce greca con due lambda sarebbe divenuta in latino prima mulias (allo stesso modo di ἄλλος – alius), poi mulies, da cui, per la rotacizzazione della -s (come honos / honor o arbos / arbor), la forma mulier, nonché l’allotropo muliar (cfr. A. Ernout – A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris 19674 , s.v. mulier; A. L. Sihler, New Comparative Grammar of Greek and Latin, New York – Oxford 1995, pp. 309-310; H. Wiese, cit., pp. 160, 179-180; G. Rocca – G. Sarullo, The ‘lapis satricanus’ as evidence of an Italic writing context in the ‘Latium vetus’?, in AA.VV., Le lingue dell’Italia antica oltre il latino: lasciamo parlare i testi, Milano 2014, p. 163.
Circa la forma muliar, si ritiene che possa trattarsi di un aspetto linguistico osco: cfr. B. Vine, Notes on the Corcolle Altar Fragments, in Glotta 69 [1991], p. 229; si ritiene anche, però, che la sua -r finale potrebbe consistere in un
“elemento medio-passivo di un infinito in -ari” e che “in tal modo muliar rimarrebbe […] un apax assegnabile alla nutrita serie dei misteriosi lemmi che il latino arcaico registra”: A. Morandi, L’ara inscritta di Corcolle. Aspetti monumentali ed epigrafici, in Revue belge de philologie et d’histoire
65, 1 [1987], p. 112 ).
Non so per quanti lettori saranno plausibili le riflessioni sul fatto che l’etimo di mulier si possa ricondurre a μυλλάς. Io, comunque, ho meno dubbi su di esse rispetto a quelle di Richard Broxton Onians, non esaurientemente approfondite ed esposte in tal sede dal prof. Armogida. Certo qualcuno potrebbe obiettare che lo “scholar” britannico si è occupato dell’etimologia di mulier in una nota e che, pertanto, non poteva dilungarsi nel fare degli approfondimenti. Come risulta, però, da tutte
le edizioni del suo libro, quand’egli vuole, vi inserisce note più lunghe di quella da lui utilizzata a proposito del sostantivo oggetto del presente studio (cfr. ed. ingl., p. 76, nota 9, p. 109, nota 4, p. 211, nota 9, p. 273, nota 2, p. 451, nota 1 e passim). Se l’Onians, quindi, avesse desiderato rivolgere
maggiore attenzione a quella parola, avrebbe potuto benissimo farlo, evitando così di glissare, fra l’altro, su quanto è scritto nel Lexicon più volte qui rammentato di Forcellini, Furlanetto e De Vit, che non credo gli fosse ignoto. Non ha invece glissato sulla tesi da lui respinta perché “does not satisfy” (ed. ingl., p. 472, nota 1) e della quale discuterò meglio più avanti, che farebbe derivare il termine in questione dall’aggettivo mollis.
Sempre riguardo all’etimo di mulier, non condivido affatto l’ipotesi avanzata da Robert Seymour Conway (On the change of d to l in Italic, in Indogermanische Forschungen 2 [1893], p. 167), secondo cui questa voce potrebbe essere “a comparative” formatosi dalla radice *mul- del dialetto
sabellico (a sua volta sviluppatasi dalla radice greca *μυδ-) e significherebbe “piuttosto umida” (“rather moist”). In tutta sincerità trovo ridicola tale ipotesi, conseguenza di illazioni bislacche.
Non condivido neppure, inoltre, la tesi di Gert Klingenschmidt (Die lateinische Nominalflexion, in Latein und Indogermanisch. Akten des Kolloquiums der Indogermanischen Gesellschaft, Salzburg, 23-26 September 1986, hrsg. von Oswald Panagl und Thomas Lindner, Innsbruck 1992, p. 130), già contestata da Henrik Wiese (cit., p. 161) e Michiel De Vaan (Etymological Dictionary of Latin and the other Italiac Languages, Leiden – Boston 2008, p. 393) , tesi che, come annota Romain Garnier (cit., p. 61, nota 8), “pose un comparatif féminin fossile, i.-e. *m°l-iés-ih2 «la meilleure» (lexicalisé au sens de favorite), en relation apophonique avec le masculin melior (< *mél-ios) «meilleur». Si le dossier phonétique” – egli aggiunge – “est évidemment très difficile […], le dossier sémantique est plus désespéré encore: nulle part dans la civilisation romaine (même aux âges archaïques!) il n’est question de polygamie ni d’épouse favorite”.
Il Garnier (ibid., p. 61) ha mosso un giusto appunto, ma si contraddice quando poco dopo scrive che “le lat. mulier, -eris […] reposerait sur un verbe expressif *mulio, -ere «baiser» (i.e. *mu l(h2 )-ie/o «moudre»)”. “Baiser” significa “baciare”; “moudre”, invero, “macinare”. Non si comprende, allora, se per lui mulier abbia qualcosa in comune con il bacio o con la macina.
D’accordo con l’Onians, infine, non reputo condivisibile quel che asseriscono certuni, vale a dire che il nostro termine sarebbe derivato dall’aggettivo mollis, affermazione risalente, secondo Lattanzio (op. Dei 12: PL 7, 57B-58A), a Varrone e ripresa in opere medievali (cfr. in merito R. Klinck, Die lateinische Etymologie des Mittelalters, München 1970, pp. 77-78; M. De Vaan, Etymological Dictionary of Latin and the other Italic Languages, Leiden – Boston 2008, p. 393). Permettendomi di usare, infatti, parole di Alfred Ernout ed Antoine Meillet (cit.), per i quali quel sostantivo è “d’origine inconnue”, ritengo che il suo nesso con mollis non è altro che “une fantaisie et n’autorise pàs à voir dans mulier un ancien comparatif” (cosa che sostengono alcuni), “dont la forme, du reste, serait sans exemple en latin”.
Lorenzo Viscido
“La Radice” – Anno XXV – N. 2 – 31.08.2019