Mancava la dicitura “non trasferibile” e viene sanzionato. E’ la vicenda di un noto imprenditore di Squillace, Francesco Paonessa, incappato, come molti altri in Italia, nelle disposizioni previste dal decreto legislativo 231/2007, in materia di prevenzione del riciclaggio, poi modificato nel luglio 2017.
Un altro capitolo doloroso subito, che si aggiunge a quello di cui era rimasto vittima il 3 maggio 2017, quando ignoti gli bruciarono completamente lo stabilimento balneare “Lido Ulisse”, a Squillace Marina.
L’imprenditore squillacese, utilizzando un vecchio carnet di assegni, ha agito nella massima tranquillità, dimenticando di apporre la dicitura “non trasferibile”. «A partire dal 30 aprile 2008 – racconta – non è più permessa l’emissione di assegni per un importo pari o superiore a 5000 euro, senza la clausola “non trasferibile”. A fine luglio del 2013 per saldare una fattura di acquisto per euro 5970, compilo un assegno intestandolo al fornitore. Per procedere al pagamento mi sono ritrovato tra le mani un vecchio carnet riposto tra gli altri e non ho fatto caso che fosse privo della dicitura “non trasferibile”.
Per non incorrere in errore, mi sono abituato a scrivere su tutti gli assegni da me emessi, a prescindere della cifra, la dicitura non trasferibile. Perché, dunque, la svista? Purtroppo, il carnet utilizzato, che era precedente alla legge, mi era rimasto, inserito tra gli altri. Scoperta subito dopo la svista, chiedo la restituzione del titolo al fornitore, il quale mi fa presente di averlo presentato allo sportello della sua filiale, ma che tuttavia lo stesso non era stato ancora incassato. Successivamente il titolo viene ritirato dal legittimo proprietario e poi da me subito dopo annullato».
Nonostante ciò, l’imprenditore è stato sanzionato.
«Da una sanzione al di sotto di 200 – sottolinea – si è passati a 3040 euro euro oltre le spese legali. L’infrazione, infatti, comportava per la presentazione e il relativo incasso del titolo una penale inferiore a 200 euro, da pagare entro 60 giorni, ma dal momento che avevo fatto di tutto per dimostrare che si trattava di una mera svista, neutralizzato il “corpo del reato” attraverso il ritiro e l’annullamento dello stesso, mai incassato, credevo, essendo stato anche rassicurato dalla mia filiale, che non dovevo più pagare nulla».
Nonostante la dimostrazione tangibile della sua buona fede, dopo aver fatto tutto il possibile per evitare anche l’incasso, Paonessa è stato condannato al pagamento di 3040 euro.
«Per il giudice – afferma sconsolato – è come se io fossi un vero e proprio criminale. Questa sentenza brucia come il mio stabilimento balneare, distrutto da delinquenti il 3 maggio dello scorso anno. Ed ha l’amaro sapore di una grande delusione».
Salvatore Taverniti