Oltre al tremendo sorteggio dei soldati per decidere chi dovesse essere mandato a morte, un altro documento rimarchevole delle ricerche storiche di Antonella Orefice, presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli (il cui lavoro è ancora in progress e la cui prima parte documentaria è stata raccolta e già pubblicata nel testo Delitti e condannati nel Regno di Napoli 1734-1862), riguarda la notte in cappella di Michele Morelli, il giovane patriota sottotenente di cavalleria che fu condannato a morte dal Borbone con Giuseppe Silvati per aver chiesto la Costituzione nel corso dei moti del 1821.
Michele Morelli ( Vibo Valentia- Monteleone 1790- Napoli 1822) aveva combattuto, per la Libertà e la Costituzione con Giuseppe Silvati e tanti altri ufficiali liberali del regno che si ribellarono al potere dispotico ed assolutistico nella notte fra il 1° e il 2 luglio del 1820.
Furono gli unici due, dopo l’intervento della Santa Alleanza richiesto da Ferdinando I, tra ufficiali condannati a morte, a salire sulla ghigliottina sistemata in Piazza S. Francesco a Napoli il 12 settembre 1822.
Gli altri ufficiali, grazie all’intervento del conte di Frimont, generale dell’esercito austriaco, ebbero la commutazione della pena capitale e condannati ai ferri per un numero di anni tra i diciassette e i trenta. Tutto era iniziato in quella notte tra il primo e il due luglio 1820 in cui un reparto di circa 130 uomini e 30 ufficiali di stanza a Nola, comandato dal tenente Michele Morelli, scese in piazza al grido di “ Viva la libertà e la Costituzione !” mettendosi in marcia verso Avellino.
Morelli era un carbonaro, ma non gli andava più di ricevere ordini che tardavano a venire per cui con i suoi uomini decise l’azione insurrezionale. Ad Avellino al suo plotone si unirono un centinaio di carbonari. La meta non era casuale. Ad Avellino vi era il generale Guglielmo Pepe che, pur non essendo un carbonaro, era uno degli ufficiali che si erano formati nell’esercito di Gioacchino Murat.
Per Michele Morelli il Pepe rappresentava la persona ideale a cui affidare i suoi uomini e il generale non lo disilluse. Mobilitò alcuni reggimenti della capitale e alla loro testa marciò su Avellino per unirsi alle truppe di Morelli e del colonnello De Concilj.
Gli insorti chiedevano la costituzione sul modello di quella spagnola, la più democratica fra quelle che fino allora fossero state redatte. Il 9 luglio i cosiddetti Costituzionali sfilavano per le vie di Napoli fra bande e bandiere e alla testa del corteo vi era proprio lo squadrone del tenente Michele Morelli di cui faceva parte anche il sottotenente Giuseppe Silvati, ribattezzato “ squadrone sacro”, seguito dai reggimenti del generale Guglielmo Pepe e da un gruppo rilevantissimo di civili con la coccarda azzurra, nera e rossa. Nel largo di Porta Capuana il 1° ottobre il re giurò fedeltà alla costituzione sul modello spagnolo che aboliva i privilegi e affidava il potere alla volontà popolare.
Ebbe pertanto luogo il primo parlamento di tipo moderno, autenticamente rappresentativo in Italia. Degli ottantanove rappresentati eletti i nobili non raggiungevano il numero di dieci. Il resto era formato da professionisti, intellettuali, magistrati e sacerdoti.
Intanto a Vienna vi era chi aveva seguito con attenzione e preoccupazione la costituzione del Parlamento napoletano. Metternich comprese che tale esperienza sarebbe stata un modello per Milano, Torino, Firenze. Quindi bisognava intervenire ed ovviamente Ferdinando I di Borbone non aspettava altro per rinnegare la Costituzione, come aveva scritto segretamente allo stesso Metternich.
Il cancelliere convocò per il 27 ottobre a Lubiana i rappresentati della Santa Alleanza, coloro che avevano riportato il borbone sul Trono e si consideravano ben in diritto di esercitare la loro “sovranità” sul Regno delle Due Sicilie. Il despota, già deciso al tradimento, per evitare ulteriori sollevazioni popolari, mandò comunque un messaggio “cautelativo” al Parlamento napoletano in cui si diceva pronto a difendere la causa della costituzione “saggia e liberale”. Arrivato a Lubiana, forte dell’arrivo degli austriaci, lo scaltro sovrano dichiarò invece che la Costituzione gli era stata estorta con la violenza, era pertanto illegittima e la sconfessò.
Era ciò che Metternich attendeva per mettere in azione l’offensiva della Santa Alleanza e sconfiggere i costituzionali napoletani, non privandosi di battute del tipo: E’ la terza volta che metto in piedi Ferdinando il quale ha il malvezzo di ricadere sempre.
Il parlamento napoletano, appena saputo del tradimento del Re, su iniziativa del generale Guglielmo Pepe, decise di muovere contro lo spiegamento di truppe austriache che arrivavano dalla Lombardia comandate dal generale Frimont, ma lo scontro fu decisamente impari . Fu facile per il Frimont entrare a Napoli il 20 marzo senza colpo ferire e il Parlamento non poté fare altro che esprimere lo sdegno e sciogliersi. Dopo aver tradito a Lubiana, Ferdinando mandò la lista dei nuovi ministri, vendicandosi degli stessi suoi funzionari e, come sottolinea Benedetto Croce, sostituendoli con “ capicamorra e picciuotti di sgarro, illustratisi con delazioni e violenze”.
Durante la reazione furono condannati, tra gli altri il generale Pepe e Cesare Rosaroll, che riuscirono a fuggire, i generali Colletta, Pedrinelli, Colonna, Costa, Arcovito, Russo insieme ai deputati Poerio, Borrelli e Gabriele Pepe. Gli unici due che pagarono più duramente furono il tenente Michele Morelli e Giuseppe Silvati, condannati a morte
Al riguardo delle ultime ore di vita in cappella di Michele Morelli, lo stesso Direttore dell’Archivio Diocesano, Mons. Antonio Illibato scrive, nella prefazione al testo della Orefice: “ E’ significativa la narrazione delle ultime ore di vita di Michele Morelli, stesa dallo scrivano della Compagnia Ignazio de Bisogno”.
Mentre Silvati aveva accettato i sacramenti prima di ascendere al patibolo, Michele Morelli, nella notte precedente l’esecuzione, ai Bianchi della Giustizia, i monaci preposti all’opera del ben morire, confessava che, pur ammettendo “appena le Divinità”, non si era mai posto la questione della Rivelazione, lasciando i monaci nello sconforto e nella confusione. Inoltre, interrogato riguardo alla Maria Nostra Madre, Morelli aveva risposto “che egli come militare non aveva mai pensato a tale divozione”.
Allora i monaci ebbero il sospetto che il militare avesse preso una forte dose di oppio, ma il chirurgo medico delle carceri, avendo osservato il condannato, sostenne che non vi era alcuna traccia di assunzione di droga. Quindi si concluse che il Morelli era rimasto solo coerente con la sua incredulità riguardo alla Rivelazione e al credo cristiano.
Rassegnati, i fratelli dei Bianchi della Giustizia dovettero riferire all’Arcivescovo che il condannato non poteva avere la “sepoltura Ecclesiastica”. Furono comunque “ fatte preghiere sia pubbliche che private” per assicurare una certa salvezza alla sua anima, su ordine dell’Arcivescovo.
Tutto ciò anche e soprattutto in virtù della superstiziosa credenza che le anime “dannate”, non trovando pace nelle luce divina, sarebbero rimaste a vagare vendicative sul luogo della morte. Ed un Morelli poteva essere forse più pericoloso da morto che da vivo. Dopo l’esecuzione, avvenuta per ghigliottina nella piazza di S. Francesco fuori Porta Capuana alle ore 15:30, il cadavere del militare fu “lasciato a discrezione della polizia che dicesi l’abbia seppellito nel cortile delle carceri di San Francesco a Capuana, luogo non sacro”.
Concludiamo con le dure parole che, in relazione al tradimento dei patrioti che rivendicavano la costituzione, il giornalista e storico liberale Indro Montanelli dedica allo “ spergiuro “ Ferdinando I […]“…aveva sulla coscienza la vita di migliaia di infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po’ di libertà.
Era stato spergiuro . Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi , e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare che l’ignoranza di cui egli stesso era campione.”
Questo uomo, un Re Lazzarone, durante i suoi complessivi 66 anni di regno, aveva condannato al patibolo centinaia di innocenti e ingannato i suoi ufficiali che reclamavano “Libertà e Costituzione”.
Angelo Martino
redazione
http://www.comunedipignataro.it/
Bibliografia:
Delitti e condannati nel Regno di Napoli (1734 – 1862). Nella documentazione dei Bianchi della Giustizia – prefazione di Mons.Antonio Illibato- Arte Tipografica Editrice- 2014
Indro Montanelli- L’Italia giacobina e carbonara- Cap. XXVIII- I costituzionalisti di Napoli- Rizzoli- 2001